Gioco: tra formazione del simbolo e tecnica psicoanalitica.
di Daniele La Licata
Il gioco come funzione catartica – masturbatoria
(premessa – prima fase)
Vorrei, qui esporre un breve excursus dell’evoluzione della dimensione ludica nell’accezione Kleiniana. L’analista viennese, partendo dagli studi di Freud, passando per un complicato e denso lavoro teorico, arrivò al gioco come tecnica psicoanalitica nell’analisi dei bambini.
In questa sede, essendo costretto a ridurre la vastità e la complessità del pensiero Kleiniano, mi permetto di rintracciare 3 fasi dello sviluppo del gioco:
- Il precursore.
- La formazione del simbolo.
- La tecnica del gioco.
Nel 1924 Melanie Klein, in occasione dell’ottavo Congresso Psicoanalitico Internazionale di Salisburgo, mette in evidenza come, un meccanismo alla base del gioco infantile e di tutte le conseguenti sublimazioni è costituito dalla scarica delle fantasie masturbatorie.
Il processo di sublimazione permette di re-indirizzare pulsioni sessuali verso una meta socialmente accettata, così da ottenerne il soddisfacimento. Sottolineando la forte componente sessuale – emotiva del gioco, metteva così in luce la funzione catartica – abreativa.
Lo stesso Freud aveva trattato il tema del gioco nel bambino offrendo un taglio, unicamente osservativo: grazie all’acuta esplorazione del nipotino Ernest impegnato nel gioco con il suo rocchetto, Freud sistemava l’attiva ludica come compromesso tra il bisogno del bambino di tollerare l’intensità emotiva e la ricerca di controllo della situazione rappresentata, egli affermava che: “i bambini (nel gioco) ripetono tutto ciò che li ha impressionati nella vita quotidiana ….. rendendosi, diremmo, padroni della situazione:”
La Klein aggiungeva che: le fantasie sessuali“…… sono sostrato di ogni fantasia ludica e fungono da stimolo costante (porre l’accento sul concetto di coazione a ripetere in Freud)….”.
Dal nulla, nulla si crea, per la nascita di un’idea c’è sempre bisogno di un ambiente predisponente, di un terreno che permetta il germogliare di un pensiero; con questa breve premessa ho, infatti, cercato di rintracciare il più importante nesso precursore alla teoria Kleiniana del gioco.
Il gioco espressione del processo di formazione del simbolo nel bambino
(seconda fase)
La formazione del simbolo.
Per un’adeguata comprensione dell’uso che la Klein fa del gioco è opportuno indagare e comprendere la formazione del simbolo nel bambino.
Nella posizione schizo-paranoide il lattante vive il seno della madre come oggetti interni di se scissi (seno buono e seno cattivo); gli attacchi ed i forti desideri sessuali che il bambino nutre nei confronti di questo oggetto lo portano a sublimare la frustrazione con il simbolismo: cioè “quando un desiderio deve essere abbandonato a causa di un conflitto, e quindi rimosso, può trovare espressione in forma simbolica, così sostituendo l’oggetto reale con un simbolo” l’intento della Klein fu quello di dimostrare che il gioco infantile, come attività sublimata, è un’espressione simbolica di angosce e desideri.
1° fase Il gioco come funzione catartica masturbatoria |
Lungi dall’essere unicamente una posizione nevrotica, il gioco, non viene definito alla stregua di un sintomo carico di angoscia, ma un processo, mediante il quale ha luogo l’intero sviluppo dell’IO; nell’accezione kleiniana, il vero sintomo, è, senza dubbio, l’assenza del gioco nel bambino.
Un gioco coartato, ripetitivo o assente nell’infante, può celare l’incapacità dell’individuo di distinguere il simbolo dall’oggetto reale.
Nella posizione schizo-paranoide i primi simboli non vengono percepiti come sostituti dell’oggetto reale, ma come l’oggetto stesso; lo sviluppo del bambino, grazie anche alla funzione abreativa – processuale del gioco, si evolverà verso la discriminazione d’oggetto permettendo, così, le relazioni con gli altri da se.
Come un artigiano che plasma la sua opera, la Klein, definisce il gioco simbolo sublimato: dove il simbolismo permette al bambino di controllare e tollerare l’angoscia spostandola all’interno della cornice ludica.
L’arte, la poesia, la narrativa spesso si fanno immagine più o meno simbolica dell’inconscio; l’artista ha l’attitudine innata di riuscire a cogliere, con parole creative, l’immediatezza dello sfuggente; il filosofo Fink, nel 1957, così descriveva l’attività del gioco:
“il gioco rassomiglia ad un oasi di gioia raggiunta nel deserto del nostro tendere e della nostra tantalica ricerca. Il gioco ci rapisce. Giocando siamo un po’ liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti su un altro mondo, dove la vita appare più leggera, più aurea, più felice”.
In questo passo, il filosofo, descrive l’oasi come una dimensione sospesa tra il reale e l’immaginario.
Nel simbolo, immaginario e reale si riflettono, ma non si confondono; Esso, infatti, possiede caratteristiche dell’oggetto Esterno e valore dell’oggetto Esterno.
Nell’allucinazione l’oggetto interno prende posto all’oggetto esterno e, confondendosi con esso non lascia spazio al simbolismo. E’ comune a tutti la dinamica del miraggio, dove la forte spinta di sopravvivenza (ricerca di acqua) ci porta ad avere un allucinazione visiva: affidiamo, così, un significato interno della nostra persona alla realtà intorno a noi.
Con le dovute proporzioni quantitative e qualitative, un qualsiasi processo che l’individuo mette in atto è anche un’espressione dell’individuo stesso: in una creazione artistica, per esempio, l’autore dell’opera esprime parte di se sia nell’oggetto creato che nello svolgimento del lavoro; persino io, in questo momento, in maniera più o meno esplicita sto parlando di me per mezzo di questa relazione.
Il bambino che gioca non fa altro che comunicare il proprio mondo interno attraverso l’attività ludica; in altri termine, si potrebbe considerare il gioco come il grande contenitore delle proiezioni di oggetti interni del bambino durante l’analisi. Sulla base di queste considerazione la Klein formulerà la tecnica del gioco nell’analisi con i bambini
Il gioco come tecnica psicoterapica nell’analisi dei bambini
(terza fase)
La tecnica:
Melanie Klein, dando il massimo peso al ruolo del gioco, arrivò alla conclusione che, poste le debite condizione, il libero gioco del bambino insieme a qualsiasi comunicazione verbale egli sappia dare, può soddisfare a esigenze analoghe a quelle delle libere associazione degli adulti. “Nel gioco i bambini riproducono simbolicamente fantasie, desideri, esperienze. Nel farlo si servono dello stesso linguaggio, della stessa forma espressione arcaica e filogeneticamente acquisita che ci è ben nota dai sogni. Noi possiamo capire completamente ciò che i bambini esprimono con il gioco solo se lo affrontiamo con il metodo elaborato da Freud per svelare i sogni.” (Klein, 1926).
Al fine di comprendere la concezione del gioco come tecnica terapeutica nell’analisi dei bambini, vorrei sottolineare alcuni aspetti importanti del caso di Rita. Per molti studiosi la bambina è servita alla Klein per scoprire, prima, e mettere in pratica, dopo, questa tecnica.
Il caso Rita
(ho preso dal testo della Klein alcune “parole chiave”)
Presentazione della Klein:
– Disturbi nevrotici gravi.
– Benché apparisse molto intelligente presentava una inibizione quasi completa nei riguardi del gioco.
– Secondo i suoi genitori oscillava tra una saggezza eccessiva ed una cattiveria sfrenata.
– Su uno sfondo generale di ansietà era colpita da disturbi intermittenti dell’umore.
– Era incapace di tollerare le frustrazioni e reagiva alla minima contrarietà con delle esplosioni di collera o con un profondo abbattimento.
– Piangeva spesso senza una ragione apparente.
– Perseguitava la madre con domande angoscianti: “sono gentile?” “mi vuoi bene?”
Sintomo ricorrente: era necessario avvolgerla strettamente nelle coperte, e si doveva fare lo stesso con la bambola, altrimenti un topo o un Butzen (termine che la bimba stessa aveva coniato, e che designava gli organi sessuali) sarebbe entrato nella stanza dalla finestra e le avrebbe portato via il suo Butzen con un morso.
Alla nascita del fratello:
- Paure notturne e conclamata fobia verso gli animali specie i cani.
- Passava ore ed ore a vestire le sue bambole in maniera stereotipata e compulsiva senza nessun elemento di immaginazione.
TECNICA DEL GIOCO:
All’inizio del trattamento Rita giocava in analisi, sia perché non poteva verbalizzare integralmente le emozioni, sia perché il gioco le permetteva di evitare un confronto troppo diretto con l’analista (e con le sue angosce e spinte aggressive ).
( La Klein, in questo passo, mette in luce la dinamica di traslazione che nasce, già da subito, con la bambina. Aspetto fondante l’analisi ai bambini piccoli è il transfert; le proiezioni sull’analista delle figure genitoriali permettono l’esame della modalità di relazione oggettuale. Si pone così in aperta scissione con le teorie di Anna Freud, la quale affermava che: la tenera età del bambino non permetteva la nascita della traslazione all’interno del setting analitico, dato che il complesso edipico non era stato ancora vissuto o era in corso ).
Con il proseguire dell’analisi, la bambina tollerava la presenza di Melanie Klein ma non faceva che prolungare la sua condotta abituale: gioco povero e stereotipato con la bambola, accompagnato di tanto in tanto dalla smentita che la bambola fosse sua figlia.
(INTERPRETAZIONE) L’interpretazione che, consisteva in uno svelamento più o meno esplicito del simbolismo ludico, poteva spiegare alla bambina che aveva paura di essere la madre della bambola; ciò avrebbe significato per Rita la possibilità di sottrarre a sua madre il bambino vero: il fratellino.
Rita a volte pretendeva che accanto al suo letto e a quello della bambola venisse messo un elefantino di peluche. “L’elefante doveva impedire alla bambola di alzarsi durante la notte e di andare nella stanza dei genitori per far loro del male e prendere loro qualcosa” (sono riportate dalla Klein le parole di Rita).
(INTERPRETAZIONE) In questo gioco l’elefante rappresentava il padre che impediva alla bambina di soppiantare la madre e di distruggerla.
Rita allora puniva la sua bambola per le sue cattive intenzioni; ciò permetteva alla bambina di proiettare all’esterno la sua angoscia di colpa. Questo simbolismo ludico mostrava che Rita, dentro di se, recitava due parti:
quella delle autorità che giudicano e condannano.
e quella del bambino che viene punito.
Nella fase finale dell’analisi l’angoscia si era sufficientemente attenuata per permettere che il cerimoniale (dell’andare a dormire) si cancellasse, e che, elementi nettamente libidici avessero il sopravvento e sostituissero gli elementi aggressivi.
Nei suoi giochi, allora, mostrava elementi veramente materni nei confronti dell’orso e della bambola.
Conclusione.
(concludendo)
Il pensiero Kleiniano, nella sua innegabile complessità, è riuscito a mettere in luce alcuni aspetti che ancora oggi sono fondanti la tecnica psicoanalitica. Il gioco si inserisce in questa dimensione facendosi portavoce anche di dubbi che spesso sono stati oggetto di critiche.
Concetti come il simbolismo, mondo interno ed identificazione proiettiva sono intuizioni che a pieno titolo possono annoverare la Klein come una delle grandi menti della psicoanalisi post-freudiana.
Bibliografia:
- “Al di là del principio del Piacere” Freud, Bollati Boringhieri, Torino.
- “Melanie Klein – Prime scoperte e primo sistema” (vol.1) Jean Michel Petot. Borla.
- “Introduzione a Melanie Klein” Hanna Segal.
- “Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi” (vol.1) Elisabeth Bott Spillius.
- “Scritti 1921 – 1958”, Melanie Klein, Bollati Boringhieri, Torino.
- “Il gioco come simbolo del mondo” Fink E.(1969), Lerici, Milano.
- “Oasi di gioia” Fink E. (1957), Lerici, Milano.