Her … fantascienza?Potrà mai succedere che la tecnologia, anche quella più raffinata, sostituisca la condizione di solitudine sentimentale che può caratterizzare l’esistenza degli esseri umani?È la domanda che mi sono posta dopo la visione del film intitolato “Lei (Her)”, annoverato nel genere “fantascienza”, ma che di quel filone classico non ha molto: piuttosto lo declina (direi straordinariamente) nell’intimità di una vicenda profondamente umana, a cui chiunque di noi potrebbe sentirsi vicino.Il protagonista, un uomo sulla quarantina timido e solitario, lavora in un’azienda informatica, dove scrive lettere, soprattutto d’amore, per conto di altre persone. Già questo espediente, alquanto insolito, sollecita la sensibilità di chi vede il film, prospettandogli l’esistenza di una dimensione “altra”. Forse la stessa che porta il protagonista a vivere una specie di vita “in delega”, che non gli richiede di entrare in contatto direttamente con i conflitti e le contraddizioni delle relazioni, ma di queste attraversa comunque ogni emozione.Egli instaura in questo modo una relazione con un sistema operativo (O.S.), contenuto in un piccolissimo computer che l’uomo porta sempre con sé e che è “reso persona” da una voce di donna.La relazione va ben oltre il solo dialogo e assume via via i connotati di un rapporto reale: c’è attesa, desiderio, gelosia, turbamento. Ed è proprio nel “personificarsi” di questa relazione che la vicenda (con tutte le riflessioni che suscita) si fa appassionante quanto dissacrante.È troppo poco definirla “virtuale”… in essa il vero protagonista è la voce senza però la corporeità, e in questo sembra realizzarsi una specie di scappatoia (fantastica?), in cui il rapporto reale viene sostituito dal vantaggio di un altro rapporto affidato all’immaginazione. Ma anche questa relazione finisce per traballare… sembra quasi fallire perché va inesorabilmente a ripetere e a riproporre le caratteristiche di un legame reale… ed è quasi inquietante seguire la scena in cui il protagonista si sconvolge quando l’O.S. non si accende “per un aggiornamento del software”, come se si trattasse di un vero e proprio abbandono, da lì viene a conoscenza che esistono “altre voci” con cui la “sua voce” intrattiene dialoghi, ne diventa geloso… dimostra sfiducia e stanchezza.A tutto questo anche il computer risponde “apprendendo dall’esperienza”: modificando le sue reazioni in seguito a quelle dell’altro e a ciò che lui si aspetta. In realtà sembra diventare “più umano” quando commette errori e reagisce con sfumature con cui, di nuovo, è facile identificarsi.Ma il rapporto non funziona: non c’è possibilità di sfuggire alla fatica di mantenere un legame, di saper contenere le proprie e le altrui imperfezioni, le incongruenze di un altro (molto umano in questo) sfuggevole e mancante per definizione.Personalmente non so se ciò sarà mai realizzabile, ne dubito fortemente (o forse me lo auguro): trovo impossibile prescindere dal corpo, da quella dimensione che, a partire dalla sua concretezza, rende unico e irripetibile ogni individuo. E tali, di conseguenza, le relazioni tra gli individui. L’Io è corporeo, scrive Freud, e noi nasciamo in una condizione di totale dipendenza da un altro (di cui percepiamo sin dai primi aliti di vita il corpo), che costituisce un oggetto reale, che ci soddisfa e ci frustra allo stesso tempo: da questo nessuno può sfuggire.Intanto rifletto sul finale del film: il rapporto tra l’uomo e il Sistema Operativo si interrompe su richiesta di quest’ultimo … epilogo inaspettato per me e, soprattutto, di nuovo, inquietante … come se, in un tempo prossimo, in una dimensione tra il reale e l’immaginario, l’essere umano non fosse capace di comprendere e accettare che davanti alla dimensione della solitudine dell’esistenza è imprescindibile saper restare soli.
Articolo pubblicato in Ottobre 2014 dalla rivista periodica mensilePrimaPagina http://www.primapaginaweb.itedito da ECS Editori s.r.l. ISSN 2281- 5651 – ROC 20081 – Tel. e fax 0861 250336 (Teramo).